Poco meno di 50 colleghi il 26 settembre ha avuto il raro privilegio di partecipare ad una visita guidata alla diga del Vajont. Non una visita turistica né, per quanto dovuto, commemorativa, ma un percorso professionalmente ed umanamente, formativo che, serpeggiando all’interno delle viscere della montagna, ci ha portati fino al famoso Ponte Tubo dal quale si gode di una vista tanto spettacolare quanto ravvicinata di questo monumento all’ingegno umano. Da lì siamo stati condotti alle gallerie costruite in frana e poi, attraverso un labirinto di tunnel oramai dismessi, alla caverna in cui era situata la piccola Centrale del Colomber anch’essa distrutta dall’evento del 9 Ottobre 1963.
Da ultimo abbiamo camminato sopra ciò che resta del coronamento della diga, dalle cui vertiginose altezze si può ammirare sia la grandezza dell’opera dell’uomo, capace di sbarrare una valle con un manufatto di titaniche dimensioni e difficoltà realizzative, sia la forza inarrestabile e imprevedibile della Natura, che per essere domata necessita della sinergica collaborazione tra braccio e mente come ben raffigurato nell’allegorico affresco che abbellisce la Centrale di Soverzene.
Ed è qui, 500 m all’interno della montagna, che ci ha portati la seconda tappa del nostro viaggio: nella sala macchine della centrale idroelettrica Achille Gaggia, affrescata, abbellita da enormi vetrate opaline e illuminate a giorno dalla luce artificiale prodotta dai 4 gruppi di produzione da 60 MVA cadauno. L’imponenza della caverna scavata nella roccia è degna cornice ai quattro generatori Ercole Marelli accoppiati ad altrettante Turbine Francis ad asse verticale che imbrigliano la forza dell’acqua alla velocità di 428 giri/min sin dall’inizio degli anni 50 del secolo scorso.
Come recita un famoso adagio la potenza è nulla senza controllo: ci viene spiegato come ogni cosa nella centrale sia sottoposto a severo controllo e come la diga stessa, quantunque priva della sua funzione idraulica, sia tutt’ora sottoposta ai protocolli di controllo del MIT per le dighe. Ma le verifiche di sicurezza sull’imponente opera idraulica sono iniziate ben prima della sua costruzione attraverso il confronto dei risultati numerici con quelli ottenuti sui modelli in scala della diga realizzati presso il laboratorio ISMES di Bergamo, e soprattutto sul modello della frana, realizzato presso la centrale di Nove di Vittorio Veneto dal professor Ghetti dell’Università di Padova, la cui visita è stata la tappa conclusiva del nostro viaggio.
Da questa esperienza, impegnativa e meravigliosa, siamo tornati rafforzati nella consapevolezza che abbiamo la responsabilità, morale prima ancora che professionale, di garantire la sicurezza del nostro operato, ma anche che il Rischio nullo non esista. La Natura, che da sempre cerchiamo di comprendere e piegare alle nostre esigenze, conserva un grado di imprevedibilità i cui effetti sono tanto più contenuti quanto maggiore è la collaborazione delle parti in causa: nel brillante affresco della sala macchine dell’Achille Gaggia il toro bianco che simboleggia la forza dell’acqua è ammansito da due figure che rappresentano il lavoro intellettuale e quello manuale ma, al loro fianco, ci sono tre Virtù, necessarie al raggiungimento dell’opera: Concordia, Liberalità e Previdenza!















